mercoledì 5 aprile 2023

E se fosse così?

CONGETTURA

Dal pH alla concentrazione analitica

Acido monoprotico HA


Acido diprotico H₂A

NOTA
Ponendo la condizione K₂ = 0 la seconda formula si trasforma (ovviamente) nella prima.

CONGETTURA
Per valori di pH superiori a 7 entrambe le formule restituiscono valori negativi: non esiste infatti una soluzione di un acido (debole o forte che sia) che possa produrre soluzioni basiche.

COMPITI PER CASA
Determinare le formule per i seguenti sistemi:
  • acido triprotico H₃A
  • acido tetraprotico H₄A
  • base monoprotica B(OH)
  • base diprotica B(OH)₂
  • base triprotica B(OH)₃
  • base tetraprotica B(OH)₄

sabato 21 gennaio 2023

Interferenze causate dalla tensione di rete

In alcuni casi, utilizzando potenziostati commerciali, durante l’esecuzione di corse voltammetriche  è possibile assistere a fenomeni di distorsione delle curve i = i(E): lo spessore della linea raffigurata a schermo risulta essere molto più grande del normale.

Ingrandendo tali curve si nota che all’onda voltammetrica è sovrapposta un’interferenza di tipo sinusoidale: una rapida analisi FFT consente di determinare la frequenza di tale segnale (tono puro) il cui valore dipende strettamente dalla velocità di campionamento della corrente impostata via software.

Effettuando prove a diverse di velocità di campionamento si registra una variazione della frequenza dell’interferenza e della sua ampiezza: se si imposta un intervallo di campionamento del segnale adeguato l'interferenza scompare.

Se si calcola l’inverso dell’interval time si ottiene un valore che, sottratto a 50 Hz (frequenza della corrente alternata di alimentazione delle apparecchiature di misura collegate alla rete elettrica), fornisce proprio il valore di frequenza restituito dall’analisi FFT: ciò dimostra che queste interferenze sono generate dalla rete elettrica.

Tali distorsioni possono essere evitate impostando valori di interval time il cui reciproco è un multiplo intero della frequenza di rete (comportamento stroboscopico).


giovedì 12 gennaio 2023

Sensore ioneselettivo per i cloruri ad AgCl + grafite

Uno dei sistemi proposti in letteratura per la produzione di sensori ioneselettivi per il cloruro è quello che prevede l'uso di un pellet cilindrico composto da una mescola di argento e cloruro di argento.

Il sensore è costituito da uno di questi pellet accoppiato ad un (contro)-elettrodo di riferimento: immergendo il sensore in una soluzione acquosa, tra i  due si instaura una d.d.p. che dipende dalla concentrazione di ioni cloruro presenti in soluzione.

Visto che, come già spiegato in un post precedente, in letteratura è riportata anche la possibilità di realizzare un sensore ioneselettivo utilizzando esclusivamente cloruro di argento puro, si può ipotizzare che la funzione dell'argento, nella mescola Ag + AgCl, sia quella di rendere elettricamente conduttivo il pellet, piuttosto che svolgere la funzionalità di "ioneselezione" che è invece deputata al suo cloruro.

A seguito di questa riflessione maturata durante le mie ricerche di dottorato, ho effettuato una serie di prove per vedere se era possibile ottenere qualcosa di funzionante usando la grafite al posto della polvere di argento.


Il risultato delle prime prove è quello che si vede qui sopra: la pasticca nera in foto è stata ottenuta effettuando una sorta di sinterizzazione, a bassa temperatura (40 °C), di una miscela di polvere di grafite e cloruro di argento (50% + 50%) utilizzando una inglobatrice della Remet.

La pasticca, che dovrebbe funzionare come elettrodo ione-selettivo, è collegata al polo positivo (rosso) del potenziostato AutoLab, impostato in modalità di lettura del potenziale di circuito aperto OCP.

All'epoca non avevo ancora a disposizione il multimetro VC8145 che per la registrazione delle d.d.p. è di gran lunga migliore (visto che offre la possibilità di selezionare l'impedenza circuitale interna di misura).

Qualsiasi sensore elettrochimico potenziometrico è costituito da due elettrodi: infatti in questo caso il secondo elettrodo che si vede in foto è un elettrodo di  riferimento ed è collegato al polo negativo (nero) del potenziostato e che, tra l'altro, consente di chiudere il circuito.


Nel grafico qui sopra è rappresentata la risposta del sensore "primordiale" immerso in acqua deionizzata. Nell'istante marcato dalla freccia rossa sono state aggiunte alcune gocce di una soluzione concentrata di cloruro di sodio. In vari istanti precedenti e successivi a quello marcato dalla freccia rossa sono state aggiunte gocce di soluzione concentrata di solfato di magnesio, che, al contrario del cloruro, non producono alcun tipo di discontinuità nell'andamento della curva.

La pasticca così prodotta ha una bassissima resistenza meccanica, tendendo a sgretolarsi facilmente: se , per ovviare a questo problema, si prova a sinterizzare la pasticca a temperature più elevate, oltre a non ottenere nessun beneficio pratico in termini di solidità del prodotto finale, si osserva la corrosione del pistone della macchina inglobatrice:


Il ripristino della superficie del pistone ha comportato un lungo lavoro di lappatura con carte abrasive. In effetti il potere corrosivo del cloruro di argento nei confronti dei metalli è riportato in letteratura ma, al momento della realizzazione di questo esperimento, ne ignoravo l'esistenza.

A questa prima prova veloce hanno fatto seguito altre semplici prove aggiuntive.

Innanzitutto è stata valutata la possibilità di realizzare delle pastiglie più piccole (1 cm di diametro) utilizzando una pressa idraulica a freddo, ma queste si sono rivelate essere particolarmente fragili dal punto di vista meccanico: non è stato quindi possibile effettuare nessuna misura elettrochimica.



Visti i problemi di fragilità meccanica è stato realizzato un tentativo diverso dai precedenti: la polvere di grafite e cloruro di argento è stata miscelata a della resina termoplastica trasparente e il tutto è stato solidificato alla temperatura di 180 °C all'interno dell'inglobatrice.

La pasticca così ottenuta è solida, ma la sua solidità e il suo potere corrosivo nei confronti del metallo aumenta al diminuire della quantità di resina utilizzata.


La risposta elettrochimica di un sensore realizzato con questa resina è piuttosto scarsa, come si può dedurre dal grafico che segue.


I numeri riportati all'interno del grafico, disposti su due righe, hanno il seguente significato: la prima riga, scritta in verde, specifica la concentrazione dello ione cloruro espressa in mg/L; la seconda riga, scritta in blu, specifica invece la durezza dell'elettrolita di supporto (solfato di calcio e solfato di magnesio in rapporto equimolare) espressa in gradi francesi.

La "linea di base" della d.d.p. subisce variazioni significative solo quando alla soluzione di elettrolita di supporto (acqua a 50 °HF) vengono aggiunte quantità molto elevate di cloruro di sodio (da 2000 mg/L in poi).

Il sensore "risponde", ma troppo debolmente e troppo lentamente. Non c'è stato il tempo di effettuare uno studio approfondito sul legame tra i rapporti ponderali C : AgCl : resina e la sensibilità del "sensore".

Sono state effettuate delle prove aggiuntive utilizzando della resina epossidica (EpoFix Resin + EpoFix Hardener) al posto della resina termoplastica.


La mescola di polveri di grafite e di cloruro di argento è stata miscelata assieme alla resina epossidica e, prima che questa pasta indurisse completamente, è stata versata all'interno di un tubetto di plexiglas. Un filo di rame immerso e inglobato all'interno della pasta garantisce il contatto elettrico con il potenziostato.


Utilizzando un paio di fascette elastiche si procede infine a fissare il (contro)-elettrodo di riferimento sul fianco del plexiglas. Il "sensore" è quindi pronto per effettuare le prove.


La risposta in questo caso è totalmente arbitraria: se il dispositivo viene immerso in acqua contenente solfato di calcio e magnesio si registrano delle oscillazioni a periodo variabile, che si collocano nell'intervallo che va da –0,20 a –0,50 V.


C'è da dire che il modo con il quale il potenziostato opera nella sua modalità di OCP non è del tutto comprensibile leggendo il manuale dello strumento, né è nota l'impedenza circuitale in ingresso.

Sarebbe interessante poter ripetere queste prove con il VICI VC8145.

Lo stesso fenomeno oscillatorio, seppure su un intervallo molto più ristretto, lo si nota anche provando a realizzare un sensore in cui l'elettrodo di lavoro è un fuso di cloruro di argento.


Quel disco collegato al morsetto giallo che si vede nella foto qui sopra è un disco di cloruro di argento fuso, ottenuto fondendo in muffola del cloruro di argento fresco all'interno di un contenitore in vetro che è stato poi rotto con un martello e il cui fondo (contenente il fuso di AgCl) è stato lappato con carta abrasiva.

fondo del recipiente contenente il fuso di AgCl, osservato in controluce

il recipiente è stato rotto con un martello per
recuperarne il fondo (che ingloba il fuso di AgCl)

fuso di AgCl

lappatura del fuso di AgCl

fuso di AgCl osservato in controluce

La risposta elettrochimica del sistema così realizzato, immerso in una soluzione di solfato di calcio e di magnesio è la seguente:


L'aggiunta di cloruro, anche in quantità elevate, non modifica in modo sostanziale l'andamento del grafico.

domenica 8 gennaio 2023

Sempre sul cloruro di argento

Il cloruro di argento è fotosensibile: ciò significa che l'azione della luce tende a degradarlo.

Se una volta sintetizzato non viene immediatamente protetto dalla radiazione luminosa, il suo colore bianco caseoso tende rapidamente a virare verso il violetto e poi, con il passare del tempo, verso il grigio.

precipitato fresco di AgCl

 
precipitato + surnatante in una capsula di cristallizzazione


campione di AgCl lasciato alcuni giorni alla luce: il bianco latte
vira verso il violetto (qui è presente anche un filo di argento)

venerdì 6 gennaio 2023

Oro colloidale elettrochimico?

In una fase preliminare delle ricerche che ho svolto durante il mio dottorato, ho indagato la possibilità di utilizzare una lastrina di oro come elettrodo di lavoro per l’implementazione di un sensore amperometrico a tre elettrodi per gli ioni cloruro.

Effettuando cicli ripetuti di scansioni voltammetriche (fino a E > +1,0 V vs riferimento) su lastrina di Au in soluzioni acquose contenenti esclusivamente cloruro di sodio, solfato di magnesio e solfato di calcio, in alcuni casi sulle pareti interne della cella in plexiglas, a seguito della corrosione della zona della lastrina di oro a diretto contatto con la soluzione, è comparso il deposito violaceo che si vede nella foto qui sopra.

Una rapida analisi XRF della zona di plexiglas ricoperta dal deposito ha mostrato due deboli picchi situati intorno a 10 keV, che corrispondono alle righe L α1 e Lβ1 dell’oro.



giovedì 5 gennaio 2023

Sintesi del cloruro di argento AgCl

Uno degli obiettivi della mia tesi di dottorato era quello di valutare la possibilità di realizzare un sensore selettivo per gli ioni cloruro da montare all'interno del circuito idraulico di dispositivi per uso alimentare, in modo da tenere sotto controllo i processi corrosivi che sono fortemente catalizzati anche (ma non soltanto) dagli ioni cloruro presenti in soluzione.

In letteratura, e in commercio, esistono moltissime differenti versioni di elettrodi ione-selettivi per lo ione cloruro, ma quello che mi ha incuriosito più di tutti è quello che prevede l'uso di un cristallo di cloruro di argento.

In laboratorio c'era a disposizione una certa quantità di polvere e residui di argento che non veniva utilizzata, quindi ho deciso di provare a sintetizzare del cloruro di argento da utilizzare per eventuali prove future.


Ho quindi proceduto all'attacco della polvere di argento con una soluzione di acido nitrico a caldo.



Una volta attaccato tutto l'argento, si procede alla filtrazione a caldo con filtro di carta.




La soluzione così ottenuta viene lasciata a riposo per farla raffreddare. Una volta che ha raggiunto la temperatura ambiente viene nuovamente filtrata con un filtro in PES in modo da ottenere una soluzione limpida.


A questo punto si può procedere con la precipitazione del cloruro di argento trattando la soluzione limpida di nitrato di argento appena ottenuta con un eccesso di soluzione di cloruro di sodio. Questa operazione e le operazioni successive sono state effettuate, per quanto possibile, in condizioni di scarsa illuminazione in quanto il cloruro di argento è fotosensibile.




Una volta precipitato tutto il cloruro di argento si procede ad eliminare il liquido surnatante con un sifone realizzato con un tubo in plastica.



Infine il precipitato viene lavato più volte con acqua distillata.


Per la sua corretta conservazione ho rivestito il falcone con della carta d'alluminio che impedisce alla luce di penetrare all'interno.

Il cloruro di argento ha una consistenza cerosa che si rende ancora più evidente se viene fuso.



A dimostrazione della consistenza cerosa dell'AgCl fuso basti pensare che quei due segni circolari centrali che si vedono nella foto qui sopra sono stati fatti premendo sulla superficie del fuso con la punta di una penna biro.


Durante il suo riscaldamento in muffola il colore del cloruro di argento vira dal bianco latte verso il giallo: è probabile che tale comportamento sia dovuto alla presenza di impurezze, ma non ho avuto il tempo di controllare tale illazione con una analisi spettrometrica.

In tutti i casi un fuso di cloruro di argento puro è trasparente alla radiazione visibile (fino a che non si degrada a causa di essa).

Lenti di cloruro di argento puro vengono utilizzate in alcuni casi nelle tecniche di spettroscopia infrarossa:

Maggiori informazioni si possono trovare in questi due articoli:





AGGIORNAMENTO del 17/01/2023: ho ritrovato un paio di spettri XRF che avevo eseguito su una porzione di AgCl: li riporto qui di seguito.



I due spettri confermano che l'AgCl così preparato è contaminato da rame.

La linea spettrale del rodio deve essere ignorata: la sua presenza è dovuta al fatto che lo strumento fornito dalla Shimadzu e utilizzato per eseguire le misure utilizza una lastrina di rodio come target del tubo catodico.

E se fosse così?

CONGETTURA